martedì 24 novembre 2020

Il divieto di licenziamento: analisi delle deroghe, accordo sindacale e accordo individuale

 Nell’ottica di tutela dei posti di lavoro a seguito della crisi economica conseguente alla diffusione del virus COVID-19, il Legislatore ha predisposto lo strumento del blocco licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, individuali e collettivi.

La disposizione in oggetto vede la sua prima applicazione ai sensi dell'art. 46 del DL 18/2020 (Cura Italia) fino all'ultima proroga disposta dal DL 137/2020 (Ristori) in affiancamento all'accesso ai trattamenti di integrazione salariale con causale COVID-19 e agli altri strumenti di sostegno all'occupazione (deroghe sui contratti a termine, smart-working, congedi parentali, ecc).

Il divieto di licenziamenti consta nell'impossibilità del datore di lavoro di recedere unilateralmente, pena nullità del recesso, per motivazioni di carattere economico e/o organizzativo per il periodo dal 20 febbraio 2020 al 31 gennaio 2021 (data dell'attuale proroga del DL 137/2020) e sospendendo allo stesso modo tutti i procedimenti pendenti nel medesimo intervallo temporale.

Costituiscono una deroga al divieto in questione alcune fattispecie di recesso per GMO:

  • cessazione definitiva dell’azienda;
  • cambio d'appalto conformemente alle clausole sociali e disposizioni del CCNL;
  • messa in liquidazione della società senza prosecuzione dell’attività, qualora nel corso della procedura stessa non si possa dar luogo alla cessione di un complesso di beni o attività tali da realizzare un trasferimento d’azienda o di un suo ramo;
  • fallimento della società nei casi in cui non vi sia o sia terminato l’esercizio provvisorio;
  • licenziamento dei dirigenti e nell'ambito del lavoro domestico;
  • superamento del periodo di comporto;
  • durante o al termine del periodo di prova;
  • rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo.
Un ulteriore deroga al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevista dal Legislatore è la sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.

L'accordo in questione quale "deroga" al divieto di licenziamento riguarda una fattispecie ben precisa che appare del tutto diversa dagli accordi individuali sottoscritti in sede protetta ex artt. 410 o 411 cpc (non è proprio contemplata nel testo normativo); proprio su questo aspetto emerge la problematica, ovvero cosa potrebbe succedere in caso di accordo individuale impugnato per nullità del recesso in vigenza del divieto?

Proviamo a ragionarci su con il materiale a nostra disposizione considerato che non abbiamo ancora giurisprudenza a riguardo.

Partiamo anzitutto dall'analizzare la natura dell'accordo sindacale che, come anche analizzato in un recente articolo de Il Sole 24 Ore del 18/11/2020, innesta la deroga al divieto dei licenziamenti su una procedura assistita di risoluzione consensuale necessaria perché si producano gli effetti specifici del legittimo recesso e accesso alla Naspi che in una situazione di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro appare una eccezione. 
L'accordo sindacale deve, quindi, intendersi non come mera "bollinatura" al procedimento di risoluzione ma quanto una "certificazione" alla valutazione dell' incentivo riconosciuto a fronte della cessazione e altre eventuali provvidenze a favore dei lavoratori aderenti.

A parere dello scrivente quindi, qualora decidessimo di sottoscrivere un accordo individuale ex artt. 410 o 411 cpc in cui la transazione e novazione contrattuale si innesta in un impegno alla non impugnabilità, il divieto di licenziamento troverebbe in ogni modo fondamento in eventuale rivendicazione di nullità da parte del dipendente per i seguenti motivi:
  • unica deroga al divieto di licenziamento è l'accordo sindacale che ha natura di pattuizione di di risoluzione consensuale con incentivazione all'esodo in cui il "visto" sindacale costituisce clausola di accessibilità alla NASPI (altrimenti non riconosciuta se non ex art. 7 della legge n. 604/1966 al termine dell’iter procedimentale avanti alla commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro o nella conciliazione facoltativa su un licenziamento ex art. 6, comma 1, del D.L.vo n. 23/2015);
  • le Parti contraenti non possono disporre di accordarsi di contravvenire ad una disposizione normativa che vieta esattamente oggetto a fondamento della natura transattiva dell'accordo individuale.
In ogni caso non resta che attendere gli "sviluppi" in materia per conoscere anche l'orientamento giurisprudenziale su una norma che appare alquanto "dissestata" e scritta in maniera poco chiara.




Articolo di Bruno Olivieri
(Consulente del Lavoro in Pescara)

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